29 dicembre 2008

Squali



- Ci hanno venduti!
- Cazzo dici Berchi?
- Quello che hai capito, Franchi. I tedeschi hanno venduto baracca e burattini e qualcuno ci ha comprati.
- E chi sarebbe questo qualcuno?
- Girati...

Il grande imprenditore Paolo Giorgi, famoso nell’ambiente grazie a best seller quali “Il Pitone che c’è in te”, “I segreti dell'Ornitorinco”, “Sette modi per spendere i soldi degli altri” oppure “Il Criceto nano maschio del Madagascar” e altri titoli della stessa portata che nel corso degli anni avevano venduto decine e decine di copie, avanzava nell'ampio cortile dell'azienda con il suo seguito di giullari, saltimbanchi e leccaculo.

Una schiera compatta di invasori entrava tronfia e soddisfatta nell'azienda che solo fino a cinque minuti prima si preparava ad affrontare inconsapevole una giornata come tutte le altre.

Scrivi-correggi-impagina-fanculo-riscrivi-reimpagina, da una parte. E, guarda che belle scarpe-il mio bimbo si è pisciato addosso-anche il mio-mia suocera pure-la mia mi ha detto brutta stronza mentre se la faceva addosso-vabbè mancano solo sei giorni e poi è domenica, da qualche altra parte.

Ora, quel perfetto equilibrio basato su chi fa tanto e chi non fa un cazzo, che per la legge delle statistiche significa: lavorano tutti senza sfiancarsi, rischiava di vacillare.

-Non ci posso credere! - Giulio Franchi era senza parole - Siamo nella merda Berchi, peggio di così non poteva proprio andare. Questi fanno cose oscene... Solo un pazzo poteva vendere a loro...
- Direi uno stronzo, più che un pazzo...

Beniamino Pappardella amministratore delegato dell'azienda e curatore del grande affare del secolo, dall'alto del suo metro e venti cercò di richiamare l'attenzione di quanti si erano raccolti nell'atrio, senza mai perdere d’occhio il suo nuovo datore di lavoro.

- Signori, fate silenzio! Fra 10 minuti tutti nella sala grande. Abbiamo importanti comunicazioni per i dipendenti!

Il grande imprenditore entrò, facendo volteggiare nell'aria il suo cappotto di vera pelle di redattore e intorno a lui un soave profumo di editoria specializzata si levò nell'aria.

- Signori, per prima cosa vorrei darmi il benvenuto in questa azienda che ora, con il nostro arrivo, sarà ancora più forte e competitiva. Noi, nella mia persona, pensiamo che i dipendenti siano il vero capitale di ogni imprenditore e quindi, mi sento di rassicurare tutti circa la serenità con la quale intendiamo costruire un percorso di integrazione volto al raggiungimento di obiettivi comuni che tendono a soddisfare gli interessi del gruppo...

Berchi cercava di seguire il discorso ma lui come gli altri 90 dipendenti non afferrava completamente il senso di quelle parole.

- Scusa Franchi, ma tu hai capito cosa sta dicendo? Sai che a me in fondo sembra una brava persona?
- Certo Berchi, è davvero una brava persona...
- Dice che i lavoratori sono il patrimonio dell’azienda, quindi noi stiamo tranquilli…

Paolo Giorgi continuava:
... e pertanto ringrazio tutti fin da ora per il grande impegno che senza dubbio metterete in ogni più piccolo compito che sarete tenuti a svolgere da questo momento in poi…

Beniamino Pappardella reggeva ossequioso il microfono del nuovo capo e continuava a tirare su le maniche della giacca, troppo lunghe per le su braccine corte.

… ci attende una sfida durissima e avremo competitor agguerriti, ma sono sicuro che unendo le nostre forze riusciremo a fare grandi cose…

- Minchia Franchi! Mi sto gasando. Senti come parla bene…
- Berchi, beato te che non capisci un cazzo!

…ma per farlo, avremo bisogno di ottimizzare i costi, annullare gli sprechi, rivedere le situazioni, Però ce la faremo. Vi prometto che ce la faremo!

Intanto vi saluto e auguro un natale sereno a voi e alle vostre famiglie.

Un applauso freddo e incredulo accompagnò la teatrale uscita di scena del grande imprenditore, mentre Pappardella lo seguiva da vicino cercando di abbeverarsi dalla fonte di tanta sapienza. La folla degli impiegati si spaccò in due permettendo il passaggio dei due boss.

Quando furono da soli, Giorgi fissò Pappardella negli occhi.

- Quanti hai detto che sono i dipendenti?
- Novantuno. Sono novantuno in tutto.
- Bene. Fagli fare Natale in pace. Per Pasqua dovranno essere trenta.
- Ma avevamo concordato cinquanta…
- Ho cambiato idea.

Pappardella si allontanò a testa bassa e uscì dall’azienda dalla porta di servizio per non incrociare nessuno dei colleghi.

Intanto il grande imprenditore Paolo Giorgi chiamava Mario Vincenzoni, suo braccio destro meglio conosciuto da tutti come dottor doberman.

- Ciao Mario, tutto fatto. Il coglione farà il lavoro sporco. Che ci riesca o meno non importa, tanto poi seghiamo anche lui. Sai che per un attimo mi è sembrato addirittura pentito? Ci ha servito l'azienda su un piatto d'argento. Hahahah... È appena uscito con la coda fra le gambe…
- Non ha capito un cazzo, Paolo. Credeva davvero che dopo aver pilotato l'acquisizione con i tedeschi gli avremmo mantenuto la poltrona hahahah… che pirla... Abbiamo fatto un affare della madonna Paolo…

I due risero forte.

Intanto nell’atrio 62 persone parlavano, facevano congetture e speravano. Tutto questo, inutilmente.

18 dicembre 2008

Fuffology

- La ringrazio per la visita. Posso offrirle qualcosa?
- No, grazie. Ho appena preso il caffè... Volevo solo un po' di informazioni su questo prodotto...
- Volentieri! Siamo qui per questo vero?
- Penso proprio si, (almeno io).
- Bene, prima di cominciare l'intervista vorrei fare una piccola premessa...
- (...)
- La nostra azienda è leader di mercato. È bene che questo si sappia. Mi raccomando... Lo scriva...
- Guardi, io raccolgo tutte le informazioni necessarie e poi una volta in redazione elaborerò l'articolo nel migliore dei modi attingendo a piene mani dal bagaglio di competenze che ho maturato in dieci anni di esperienza nel settore...
- Non ho capito cosa intende, ma mi fido.
- Dicevo solo che la scrittura dell'articolo è affar mio.
- Ottimo! Come le dicevo, la nostra azienda è leader di mercato e il cagr dello scorso semestre ha dato piena ragione alla vision del nostro evangelist che nell'ultimo quarter ha puntato tutto su una targhettizzazione estrema delle risorse.
- Più chiaro di così.
- Certo, il nostro grande successo è dovuto anche ai laboratori all'avanguardia che abbiamo negli States dove tecnici skillati fanno R&D di grande livello con notevole invidia dei nostri competitors
- Ma i tecnici quanto sono skillati?
- Sono skillatissimi! Noi sponsorizziamo una partnership con un advertisor che fa marketing e recruiting mirato.
- Sticazz... hem... molto, molto interessante, davvero...
- Ma c'è un altro particolare da considerare!
- Non osavo chiederglielo...
- Si tratta del benchmarking dei prototipi pre-sales...
- Mi ha tolto la domanda di bocca!
- Immaginavo, ma io l'ho prevenuta! Faccio il direttore marketing mica per niente?
- Beh certo, lei come direttore marketing è davvero una lince.
- La ringrazio. Bene, concludendo: grazie alla nostra policy aziendale volta alla customer satisfaction noi stressiamo al massimo ogni singolo prodotto al fine di ridurre al minimo i resi e far fruttare al meglio lo stoccaggio.
- Molto bene, davvero molto bene. Ho un sacco di materiale su cui lavorare. Solo un'ultima domanda. Ma il pistacchio dove lo prendete?
- Il pistacchio?
- Beh si, il pistacchio. Scusi, ma lei non è il direttore marketing di Pig Innovation? Io sono qui per la conferenza “Mortadella, quale futuro?” sono della rivista “State sobri se potete”...
- Caspita dev'esserci stato un malinteso! Io sono il direttore marketing di Dirty Dream, quelli dei materassi... di mortadella non ne so nulla!
Vabbè poco male, ma che dice la pubblicate lo stesso l'intervista? Magari anche un trafiletto, piccolo piccolo...

15 dicembre 2008

Quel simpaticone di Luigi


Ultimamente si fa tanto parlare di fannulloni però si dice anche che le mele marce ci sono ovunque, che non bisogna fare di tutta l'erba un fascio e che ormai non si trova più un parcheggio manco a pagarlo. Ma a proposito di luoghi comuni che lasciano il tempo che trovano e a proposito di tempo che ormai sembra fare a meno delle mezze stagioni (scusatemi ma ci stava troppo bene e non ho resistito) mi sono ricordato di quello che ho visto tanti anni fa nel municipio di un piccolo centro che per un po' è stato la sede del mio servizio civile.

In quel posto devo dire che non c'era la classica mela marcia, quel posto era un unico grande cesto di frutta andata a male dove tutto scorreva in maniera così flaccidamente leggera e palese che spesso ti chiedevi se eri tu ad essere quello sbagliato.

Raggiungemmo la sede del municipio alle nove di un caldo mese di luglio, io e altri tre ragazzi che il comune aveva richiesto per “coadiuvare il personale in un periodo di forte carico di lavoro”.
- Sono arrivati gli obiettori! - Urlò qualcuno dall'interno mentre noi ci fermavamo smarriti davanti alla grande vetrata dell'ingresso.
- Entrate ragazzi che ora vi diamo subito gli incarichi. - Un ometto bassino e panciuto, con due enormi baffi che lo facevano assomigliare a un tricheco ci guidò all'interno della palazzina e ci fece accomodare in una stanza piena di faldoni, registri e cancelleria varia.
- Mettetevi comodi ragazzi. Io mi chiamo Luigi e in questo momento faccio le veci del sindaco che è impegnato in una... ehm riunione. Comunque, per farla breve. Bene arrivati. Allora... suppongo siate tutti studenti universitari. Ditemi cosa studiate così vediamo dove mettervi.
- Io studio architettura! - Esclamò pronto un ragazzo dalla chioma rossa.
- Io sto per laurearmi in ingegneria edile... - Aggiunse un altro collega grassottello con la barba lunga.
- Apposto! Voi due andrete a dare una mano al geometra comunale. E gli altri?
- Io studio veterinaria! - Comunicò un altro ragazzo secco come un filo di ferro.
- Allora, tu potresti dare una mano al canile municipale! E tu cosa studi? - chiese indicando me.
- Io studio lingue.
- Bene, tu starai all'ufficio acquedotto!
- Ma cosa c'entra quello che studio con l'ufficio acquedotto?
- Niente! Ma tanto con quella laurea ti conviene fare esperienza da qualche altra parte perché mica pensi di andare a fare davvero l'insegnante? - Comunque fai poco lo spiritoso e seguimi. Venite anche voi.

Ci addentrammo così nel dedalo di corridoi. Nei vari uffici aperti solo scrivanie vuote e ogni tanto qualcuno che parlava al telefono e scherzava ad alta voce. Il nostro Virgilio mollò i due architetti in un piccolo stanzino con una scrivania e un tavolo da disegno e disse loro di aspettare. Lasciò il futuro veterinario in un'altra stanza ad attendere un non meglio precisato responsabile del canile e poi mi fece accomodare nell'ufficio acquedotto.

- Noi due lavoreremo insieme. - Mi disse. - Qui ci sono circa duemila schede da controllare. Devi vedere se ci sono dei morosi e compilare la cartolina per mandare l'avviso di pagamento a chi è in ritardo. Praticamente tutti.

Mi spiegò velocemente come funzionava la cosa e poi sparì. Fino a mezzogiorno il comune rimase presidiato da quattro obiettori in attesa di non so che cosa. Intanto i telefoni squillavano all'impazzata e nessuno di noi rispondeva.
Verso mezzogiorno ci affacciammo alle finestre e vedemmo un corteo di persone che entrava nell'atrio con buste della spesa e carrelli colmi di frutta e verdura.
- Oggi c'era il mercato – mi spiegò Luigi mentre, con un fazzoletto stropicciato, si asciugava la fronte e i suoi baffoni imperlati di sudore. - Ho comperato un po' di pesce e di frutta. Che ci vuoi fare, la spesa dobbiamo pur farla. Tu come te la sei cavata?
- Spero bene, ho compilato una cinquantina di cartoline...
- Bene, bene. Però vai tranquillo. Non ti affaticare troppo, se no poi quando finisci le schede ti cambiano ufficio. Tu invece stai qui e mi dai una mano.

Rimasi in quel comune per quattro lunghi mesi prima che mi trasferissero altrove. Ma in quel periodo proprio non riuscivo a capire quale fosse l'enorme carico di lavoro per cui eravamo stati chiamati a dare una mano.
Io e i miei colleghi eravamo diventati i factotum del comune, copiavamo indirizzi, facevamo fotocopie, mettevamo in ordine alfabetico documenti polverosi e così via. Tra gente che telefonava ai parenti e altri che si occupavano di fantacalcio, le giornate volavano.
Dopo il primo mese ci eravamo perfettamente integrati e cominciai a pensare che Luigi fosse davvero una gran brava persona. Aveva l'hobby del giardinaggio e della cucina e portava in ufficio manicaretti di ogni tipo. Era anche bravo a scolpire il legno e realizzava delle piccole statuine per il presepe che erano delle vere opere d'arte.
Luigi era davvero un tipo in gamba e faceva di tutto, ma proprio di tutto... tranne che lavorare.

12 dicembre 2008

Pausa sigaretta


- Ragazzi qui dobbiamo organizzarci!
- Scusa Lorenzi, ma cosa vuol dire?
- Voglio dire che dobbiamo far venire i sindacati in azienda, farci spiegare i nostri diritti, darci una mossa…
- Ma perché? Cosa vuoi che ne sappiano i sindacalisti del lavoro?
- Ma che cazzo dici Bonanno? I sindacalisti rappresentano i diritti dei lavoratori, sono quelli che ti difendono dallo sfruttamento dei padroni!
- Ma tu ti senti sfruttato?
- Ma come, non ti rendi conto che qui siamo tutti sfruttati? Lo sai quante macchine possiede il proprietario di questa baracca? Lo sai quanti appartamenti?
- Ma porca miseria Lorenzi! Ma che cazzo c’entra questo con il fatto che tu ti senti sfruttato?
- Non riesci a capire, non ci arrivi proprio Bonanno! Le case e le macchine e le barche lui se l’è comprate con il nostro sudore!
- Forse mi sfugge qualcosa, ma tu a fine mese non prendi lo stipendio?
- Certo, ma questi sono solo spiccioli paragonati a quello che guadagna quel grassone del nostro grande capo, ti rendi conto che lui si arricchisce e noi facciamo i salti mortali per arrivare a fine mese?
- Maccheccazzo c’entra! Lui fa l’imprenditore e tu fai l’impiegato! Tira fuori le palle e fai l’imprenditore pure tu!
- Senti, io con te non riesco a parlare! Comunque sto raccogliendo le firme per convocare un’assemblea sindacale, se tu non ci sei non mi interessa!

Gianfranco Lorenzi si era alterato parecchio, ma le sue discussioni erano sempre accese e ormai nessuno ci faceva più caso. I suoi colleghi rientrarono dalla pausa sigaretta e ritornarono ognuno alla propria scrivania. Lui rimase ancora in cortile. Tirò fuori il tabacco e le cartine e si rollò l’ennesima sigaretta della giornata. Sputò i fili di tabacco che gli erano rimasti sulle labbra, poi adocchiò un’altra coppia di colleghi che usciva a fumare.

- Allora ragazzi me la mettete una firmetta per la riunione sindacale? Qui dobbiamo darci una mossa…
- Ma vai a prenderlo nel culo Lorenzi! Tu e i tuoi amici sindacalisti del cazzo! – Il fine umorismo britannico del Berchi era leggendario.
- Fascista! Sei uno sporco fascista di merda! - Fu la risposta stizzita del giovane agitatore che compensava la sua poca voglia di lavorare con una costanza diabolica.

Gianfranco Lorenzi pur di non fare un cazzo sarebbe stato capace d’inventarsi un miliardo di scuse sempre diverse per parlare male dei padroni e del capitalismo. Interveniva anche quando non era interpellato e schiaffava la sua politica da quattro soldi in qualunque discorso, anche se stavi parlando solo di calcio o di donne e volevi startene cinque minuti per i cavoli tuoi. A volte, pur di esprimere il suo parere, smetteva perfino di preparare i suoi volantini e le relazioni che stilava quotidianamente per un non meglio specificato comitato direttivo del partito della rifondazione estrema che più estrema non si può per la conquista dei diritti sociali e politici dei lavoratori sfruttati, maltrattati e frustrati ma in via di riconquista del proprio dignitoso peso decisionale all’interno del tessuto organizzativo statale. Eccheccazzo!

La riunione sindacale non si fece neanche quella volta e manco quella successiva e tutte le altre volte, finché per farlo smettere, l’amministratore delegato decise di nominarlo capufficio. Gianfranco Lorenzi continuò a non fare un cazzo ma almeno adesso leggeva il suo giornale da solo e non rompeva più i coglioni a nessuno.
Aveva deciso di combattere il sistema dall'interno.

09 dicembre 2008

Benedette pr


- Ma ciaooo... ma che piacereee...
- (E mo' questa chi è?) Ma ciaooo!
- Sono molto contenta di vederti!
- (Ma dai? Ma davvero?) Il piacere è tutto mio carissima...
- Temevo non venissi...
- (Anche io! Fino a un'ora fa non ne sapevo nulla, porca vacca! Questo pacco di conferenza me l'ha piazzato il mio caporedattore stronzo all'ultimo minuto.) Ma scherzi? Ma figurati se mancavo!
- Sai l'evento di oggi è davvero importante...
- (E ci credo... “Mortadella, quale futuro?” Cazzo se è importante!) Guarda non avrei rinunciato per niente al mondo, credimi!
- L'azienda ci teneva tanto ad avere un buon seguito di giornalisti e per noi è sempre una grande soddisfazione riuscire a comunicare questo concetto...
- (Ma porca miseria, come si chiama? Voglio vedere se il nome me lo chiede prima lei o prima io!) Guarda, sono riuscito a trovare un buco per venire, ma tu sai come sono i tempi nelle redazioni... sempre impiccati, sempre di corsa...
- Certo che lo so, ti capisco benissimo.. hem... scusa in questo momento mi sfugge il nome della tua testata...
- (Hahahahahah, me lo ha chiesto lei!) Ma come non ti ricordi... “State sobri se potete”!
- Ma che sbadata! Certo! “State sobri se potete”, come ho potuto non ricordare. E tu sei...
- ... e io sono Salvatore
- Salvatore, ma certo! Piacere, io sono Deborah...
- Il piacere è tutto mio Deborah. (Minchia ma quando cazzo inizia sta roba. Fa un caldo tremendo... devo riuscire a svignarmela il prima possibile...)
- Fra poco si comincia Salvatore, aspettiamo giusto la mezz'ora accademica dei soliti ritardatari. Ma intanto mi piacerebbe farti conoscere il direttore marketing dell'azienda, il manager account in charge bidibin bidibò per il Veneto e il Nepal, il responsabile della stazione sciistica dove trascorre le ferie l'amministratore delegato e per finire... il magnific altissim purissim bellissim responsabile di osservazione diretta dei lavoratori praticanti...
- (Ma almeno uno che lavora, no?) Sono davvero onorato Deborah...
- Ci terrei tanto se potessi far loro un'intervista. Ho già le foto in alta nella cartella stampa.
- (Ma tu guarda come sbatte le ciglia e mostra la scollatura questa.) Ci provo Deborah, però non posso garantirti nulla. Comunque... beh un'intervista non si nega a nessuno...
- Dai si, si, si... vado a chiamarli subito! Tu intanto serviti pure, lì in fondo c'è il buffet...

La graziosa signorina si lascia dietro un dolce profumo, “Eau de Pr” immagino, sventolato nell'aere dalla sua massa di capelli biondi e ricci. Corre con i suoi tacchi da 10 in mezzo alla sala e sorride a tutti tra uno scintillio di orecchini orientali e un frusciare sinuoso di camicette di seta. Poi ad un tratto si ferma. Lì in fondo c'è un altro giornalista. È il mio collega della rivista “Sobri mai”, lo punta da lontano, tira un sospiro e gli va incontro decisa.

- Ma ciaooo... ma che piacereee...
- (E mo questa chi è?) Pensa il mio sudato collega...

07 dicembre 2008

Regali di natale


Questo post non era previsto. Queste righe avrei fatto volentieri a meno di scriverle, ma non potevo. Oggi ho saputo da un parente distratto e troppo impegnato a svuotare l’appartamento che la signora anziana dai cappelli bianchi che abitava sul mio pianerottolo non c’è più.
- Purtroppo ci ha lasciati. – Ha sussurrato l'uomo. – Lunedi scorso.

Lunedi scorso. L’anziana signora dai capelli bianchi è morta da una settimana e in tutto questo periodo la mia vita non si è accorta di nulla.
- Ormai non era più in sé – racconta il nipote mentre aspetta l’ascensore con un termosifone elettrico e un saccone di plastica appoggiati vicino alla porta di metallo. – Sa… a una certa età è meglio così. Comunque non ha sofferto. Si è addormentata…
Si è addormentata, non ha sofferto. Mentre lui parla, provo un grande disagio e ripenso a quella figura scheletrica con il camice a fiori che un giorno mi disse: “Giovanotto, questa è casa mia. Io vivo in questo palazzo da 50 anni eppure ormai non conosco più nessuno. Ma lei lo sa che quelli che c’erano prima sono tutti morti o hanno venduto? Non conosco più nessuno qui, più nessuno”.

L’anziana signora dai capelli bianchi non aveva figli. Non so se fosse vedova o se invece la sua vita l’avesse affrontata sempre come una solitaria guerriera o come una piccola barchetta smarrita. Non lo so.
A occuparsi di lei una badante dalla carnagione scura che le parlava in spagnolo. E lei non capiva.
Era diffidente la signora dai capelli bianchi. Quando ero andato a suonare alla sua porta per regalarle una bottiglia di olio d’oliva di quello buono, di quello che mi mandano da giù, lei non mi aveva aperto. Eppure sapevo che c’era. Che era lì, immobile, sospettosa, instancabile vedetta ad osservare un mondo spaventoso che correva veloce dietro lo spioncino di una gabbia blindata. E le faceva paura. Tanta paura.
- Sa, adesso dobbiamo vendere la casa. – Racconta il nipote addolorato e intanto cerca di sistemare il termosifone nell’ascensore. – Siamo stati in agenzia, ma mi hanno detto che questo è un brutto periodo per il mercato immobiliare. - Poi si chiude le porte alle spalle evitando di guardarmi.
Almeno per lui questo sarà un Natale sereno. Non avrà il rimorso di lasciare sola con la badante la sua vecchia zia scema. Sotto l’albero troverà un appartamento al settimo piano che presto, nonostante le difficoltà del mercato, si trasformerà in denaro contante.

Avrei dovuto lasciargliela sul pianerottolo quella bottiglia d’olio buono. Avrei dovuto suonare più spesso alla porta della signora con i capelli bianchi fino a farmi aprire e dirle che non doveva avere paura, che le cose brutte della televisione non sono sempre vere. Che la paura è un veleno inodore e insapore…
Avrei dovuto tante cose…
- Arrivederci! – mi dice l’uomo educatamente.
- Arrivederci… – rispondo. Poi guardo la porta chiusa e questa volta so che dietro non c’è più nessuno attaccato allo spioncino.
Fa freddo. Fa davvero freddo. Rientro, mi chiudo in casa e giro la chiave tre volte. Poi osservo da lontano il piccolo occhio di vetro…

04 dicembre 2008

Le ultime primizie


Li vidi entrare insieme. Nel grande supermercato un viavai disordinato di gente che gettava nervosamente pacchetti incellophanati nel carrello.
Loro due si muovevano piano. Prendevano con le mani tremanti e rugose due o tre confezioni e leggevano l’etichetta sollevando appena gli occhiali sul naso. Poi sceglievano quella che costava di meno.
Intorno a loro, bambini biondi sottomettevano genitori distratti piangendo con forza davanti a inutili oggetti colorati che gli venivano prontamente consegnati come obolo di tregua.
I due anziani procedevano senza fretta lasciando semivuoto il loro triste carrello della spesa. Raccoglievano scatolette di tonno con la grazia di chi offre una margherita e ammiravano ciuffi d’insalata avvicinadoli al naso per sentirne l’odore e metterne a fuoco le foglie verdi.
Lei era magra e si appoggiava al carrello spostandosi a piccoli passi, ma facendo attenzione a non perdere mai di vista il suo compagno. Lui, gli occhiali di tartaruga, la barba perfettamente rasata e un contorno di capelli candidi, la seguiva. Si attardava, curioso come un bimbo, davanti ad ogni banco o scaffale osservando tutto con occhi lucidi di meraviglia. Poi, ad un tratto, si fermò. Davanti a lui delle magnifiche ciliegie rosse riposte come gioielli in piccole vaschette di plastica trasparente. Ne prese una e cercò di carpirne il profumo trattenuto gelosamente dalla confezione sigillata. Erano primizie e costavano tanto, così le posò nello stesso istante in cui la moglie si girò a guardarlo.
Quando lei sparì fra gli scaffali lui riprese le ciliegie con ambedue le mani e le guardò ancora.
Rimase fermo come un cucciolo che si è perso, poi riconobbe la camicetta a fiori della sua compagna e la raggiunse con il suo trofeo rosso da 150 grammi.
Lo sguardo di lei si accigliò quando vide il prezzo sul piccolo scrigno di cellophan, ma ormai erano in fila davanti alla cassa. Nel carrello quattro uova, quattro patate, un’insalata, un litro di latte a lunga conservazione, del sale iodato, le pasticche per la dentiera e la vaschetta di ciliegie rosse. Appoggiarono con delicatezza la loro magra spesa sul nastro scorrevole e poi, prima che la cassiera potesse leggere il prezzo con la sua pistola magnetica, lui afferrò le preziose primizie e le spostò al lato della cassa. Lì c’erano altre mille vaschette uguali che altri mille anziani con i capelli bianchi e gli occhi lucidi quella sera non avevano potuto comprare…

02 dicembre 2008

Incontri metropolitani


La metropolitana è un posto fantastico, è mille volte meglio della televisione. Paghi il biglietto, ti siedi (quando ci riesci) e osservi. I programmi sono sempre vari e imprevisti. Non sai chi ti troverai accanto e chi di fronte, ma il trucco è osservare. Ascoltare, godersi lo spettacolo umano.
Ieri alla fermata di piazza Udine mi sono trovato vicino due giovanotti che avevano appena lasciato il cantiere. Erano piastrellisti o muratori immagino, almeno a giudicare dai loro abiti che portavano tracce inequivocabili di cemento e calce. Erano altrettanto chiare le loro origini meridionali, calabresi penso. Capelli scuri e carnagione abbronzata. Si vedeva che erano a Milano da poco e parlavano fra loro in dialetto, sicuri del fatto che nessuno capisse il loro colorito idioma, ma si sbagliavano. Io sono terrone come loro...

- Antò, certo che sta metropolitana non so se mi piace
- Neanche a me, Michè. Ne passa una ogni minuto e non puoi neanche inventarti la scusa che hai perso il treno...
- Si ma poi hai visto questi come cavolo corrono sempre?
- E' vero. Vanno tutti di pressa! Ma poi alla fine vanno a lavorare negli uffici, e mica trovano chiuso se arrivano cinque minuti dopo?
- Ma chi li capisce! Certo però che se devono timbrare il cartellino...
- Che c'entra! Pure mio cognato che lavora al comune di Reggio timbra il cartellino. Solo che fanno i turni e timbrano una volta a testa con i suoi colleghi...
- Sai che ti dico Michè? Io a stare otto ore chiuso, seduto alla scrivania non ce la farei proprio. Stanno tutto il giorno davanti al computer. Ma poi io vorrei sapere come cazzo funziona sto computer...
- Non è difficile, mio cognato dice che serve per vedere le donne nude e mandare le lettere senza francobolli...

I due si accorgono improvvisamente di due ragazze che nel frattempo si sono sedute di fonte a loro.

- Facciaducazz! Michè hai visto a quelle due?
- Queste ci stanno Anto'. Una mi ha guardato.

Si raddrizzano sul sedile e tirano la pancia in dentro. Poi, per attirare l'attenzione, cominciano a parlare a voce più alta passando dal dialetto all'italiano.

- Scusa Michele per caso hai entrato il muletto nel recinto prima di andare?
- Certamente Antonio! Poi ho chiuso tutto ed ho uscito.
- Cazzo meno male! Sennò il mastro chi lo doveva sentire domani.
- Porca miseria Antonio! Sai che mi ho scordato l'ombrello vicino alle sacchette di cemento?
- Michele, Michele! Io lo sapevo che sei il solito distratto...

Intanto arrivo a Loreto e devo scendere.
Non saprò mai se i due eroi sono riusciti a fare colpo sulle ragazze che intanto stavano sorridendo divertite.
Però, mi piace pensare che quella sera piovosa l'abbiano trascorsa tutti e quattro insieme a ridere, bere vino rosso e mangiare salame calabrese piccante, molto piccante...

01 dicembre 2008

La saltatrice di code

- Mi scusi ma non l'avevo proprio vista...
- Signora, io penso che lei abbia dei seri problemi con il suo oculista oppure sta cercando di offendermi con un velato accenno alla mia bassa statura...
- No, no, io non mi permetterei mai... Ma perché, voi siete oculista?
- No signora, io sono quello che è arrivato prima di lei a fare la fila per la spesa
- Ma io devo prendere solo due melanzane, non devo fare la spesa
- E' vero signora comprare le melanzane non significa fare la spesa
- Certo! La spesa è una cosa grossa...
- Ma se io compro dieci chili di melanzane come lo chiama lei?
- E cosa ci deve fare con dieci chili di melanzane? Le mette sottolio, vero? Sa come le faccio io? Le taglio tutte a pezzettini piccoli piccoli...
- Signora se avessi avuto bisogno di una ricetta avrei chiamato Marchesi, il fatto è che stamattina voglio solo comprare un po' di frutta. Purtroppo ho incontrato lei che, immagino, ha tantissima fretta e non si è resa conto di aver scavalcato me, il signore dietro e anche questi altri due ragazzi che sono stranieri e fortunatamente non la capiscono...
- No, ma io non vi ho proprio visti, comunque adesso sono qua, è inutile mettersi a fare storie, così facciamo tardi tutti quanti...
- Signora, sa che la sto chiamando con un appellativo che vista la sua eleganza mi pare oltremodo esagerato?
- Come?
- Nulla di complesso, signora, è che mentre le rivolgo la parola continuo a mentire al mondo considerandola umana e invece probabilmente lei non lo è o forse lo è troppo, ma in ogni caso la invito di cuore a procurarsi un paio di grosse melanzane e a...

In quel momento mi rendo conto che non vale la pena continuare, la saltatrice di file non cambierà mai e me la ritroverò ovunque. In Posta, dal medico, dal salumiere, lei sarà sempre lì con la sua testa brizzolata, il suo rossetto da bancarella, l'aria da buona madre di famiglia e la coscienza che il mondo intero non esista...
La osservo mentre si agita e i suoi grossi orecchini luccicanti ondeggiano nervosamente. Soddisfatta si fa dare le sue melanzane siciliane, poi visto che c'è, anche “qualche patata e due zucchine piccole piccole che a mia figlia piacciono tanto e mezzo chilo di castagne che i bambini ci escono pazzi...”
“Ho fatto subito, avete visto?” dice mentre si allontana ballottando con le gambe ormai deboli che non reggono più quella massa inutile e quel peso per il quale il cervello non ha nessuna parte...
“Arrivederci!” mi dice e io so che è vero, la incontrerò sicuramente di nuovo...

28 novembre 2008

La gallina con la pelliccia

Mi trovavo in chiesa. Si vabbé non è un posto che frequento solitamente, ma mi ci trovavo. Lasciamo perdere il perché, possono essere tanti i motivi per cui un giorno di novembre ti ritrovi a respirare incenso: matrimoni, comunioni, battesimi e compagnia bella... Ecco, era una di quelle occasioni e me ne stavo in piedi con le spalle al muro, gli occhi vaganti fra le splendide navate di una cattedrale colma all'inverosimile di fedeli. La voce gracchiante del parroco raccontava parabole lunghissime che proprio non riuscivo a seguire e un'altra voce sottile e irritante cinguettava ininterrottamente alla mia sinistra.
Era la gallina con la pelliccia.
La signora in questione ha circa 55 anni. È sempre fresca di parrucchiere, si spruzza addosso ogni mattina un disgustoso profumo di vaniglia e indossa un pellicciotto intorno al collo che serve per ricordare alle sue tre amiche oche quanto guadagna suo marito. Lo ribadisce sempre, soprattutto in chiesa, sottovoce, durante la funzione. La gallina ha due figli, un maschio e una femmina che lavorano e guadagnano bene, ma la signora non sa che lei è in cura da uno psicoterapeuta e lui la sera esce per strada a cercare travestiti. Suo marito la cornifica ripetutamente, ma la casa in montagna e quella al mare le permettono di chiudere un occhio sulla sua triste vita sentimentale. Non fa la stessa cosa con quella degli altri. Durante la funzione la osservo. Scheda tutti i presenti e racconta alle sue amiche paperelle della moglie del gioielliere che se la fa con il commesso, di quella del tabaccaio che è ingrassata come una balena, della ragazza che canta nel coro che una sera l'hanno vista in macchina con uno sconosciuto... Parla del suonatore di organo che non azzecca una nota e infine del prete che... insomma, questa è grossa e in chiesa non la posso proprio dire, ma voi avete capito bene a cosa mi riferisco...
Trascorre così il tempo della funzione e arriva il momento della comunione. Non credo ai miei occhi quando vedo la gallina e le tre amiche paperelle legarsi uno scialle sul lavoro del parrucchiere e procedere dimesse verso il distributore automatico del corpo di cristo.
E così, anche oggi, la mano del sacerdote consegna la santità a quattro mentitrici che non hanno coscienza della grande pericolosità di un'esistenza così misera...

Mettiamola così...


Mettiamola così, piuttosto che scrivere stronzate preferisco non scrivere. Sono giunto a questa conclusione dopo averci pensato per qualche annetto. Dopotutto non me lo ha mica prescritto il medico di aprire un blog e scriverci dentro. Così dopo averci riflettuto a lungo, anche se non in maniera spasmodica, ho capito che in effetti ci sono delle cose che mi piacerebbe raccontare, o meglio, ci sono delle persone che mi piacerebbe raccontare. Sono quelle che incontri per strada o in metropolitana o quando fai la fila alle poste o chennesò mentre sei in attesa dal medico. Sono sempre le stesse. Cambia un po' l'accento, la statura, ma sono sempre loro e sono così simili a sé stesse che se ne potrebbe quasi tracciare un ritratto, un identikit, ecco si, proprio quello. Un identikit...