27 aprile 2009

Zio Antonio



Zio Antonio ha la fronte scavata come i solchi della sua vigna e le mani segnate da mille stagioni di freddo e neve e caldo torrido. Per lui Milano è il Duomo e Roma è il Colosseo, ma conosce a memoria ogni zolla della sua terra e sa come si parla a un albero dopo la potatura.

Zio Antonio ti guarda sempre negli occhi quando parla e anche se la sua voce non è più quella tuonante che rimbombava nell'aria tante primavere fa, arriva lo stesso, diretta e forte, sotto la corteccia del tuo animo.

- Che si dice a Milano? - Mi chiede. E io rispondo che si lavora. Ci rifletto a lungo prima di parlare, ma non mi viene in mente altro. Mi dice di stare attento, che alla televisione si sentono tante brutte cose e lui proprio non se le spiega.
- Devo farti assaggiare il vino nuovo. - Aggiunge poi per sdrammatizzare e io vedo i suoi occhi opachi accendersi improvvisamente di una luce intensa. - Senti se ti piace. Questa è la vigna che piantò il tuo bisnonno. Il nonno l'ha curata e io le ho dedicato tutta la vita. - Poi guarda fuori dalla finestra, ma sono sicuro che non vede la gente che passa. - Quanto sarebbe bello - continua. - Quanto sarebbe bello se ritornaste tutti, qui nella vostra terra e io potessi farvi vedere come si piega la vigna e si scelgono i grappoli buoni...

Io lo guardo e penso a quanto sia innaturale e blasfema la vita che conduco, spostandomi sotto le viscere dell'asfalto per andare a lavoro, respirando odori di marcio, di sporco e di folla e guardando fette di cielo attraverso le sagome di palazzi grigi.

Quando zio Antonio parla io cerco di non perdermi neanche una delle cose che dice. Ne bastano 100 di parole per descrivere il suo mondo e io che di parole ne conosco tante di più e che ogni giorno le uso come mattoni per costruire frasi da vendere, mi accorgo che in fondo la sua vita semplice, ricca e dura è stata tanto più vera della mia.

Parliamo del tempo, delle stagioni, del vino e sorridiamo. Poi lo saluto, ci abbracciamo e lui piange. Proprio come facevo io da bambino tutte le volte che lo salutavo.

- Chissà quando ci vedremo la prossima volta – mi dice.
- Presto! - Rispondo. - Ho un po' di ferie arretrate e prima di quanto pensi ti faccio un'improvvisata!
- Ti aspetto! Mi raccomando...

Mentre vado via non mi accorgo neanche che sta piovendo.

Il traffico, il lavoro, i ritmi serrati, la folla, la scrivania, l'agenda, l'evidenziatore, sono solo stupidi nomi che hanno perso qualunque parvenza di significato.
È strano come ci siano persone che riescono a riscaldarti dentro soltanto perché esistono...

4 commenti:

Soy ha detto...

che dire.... forse solo grazie :)

Salvatore Viola ha detto...

Troppo buona ;)

Vito ha detto...

Potente. E vero.


Ciao Salvatore
VITO

Ultimo ha detto...

Quante considerazioni mi ispira questa pagina. Scelgo quella forse un po' marginale delle emozioni.

Mia figlia di 16 mesi (Monica) quest'anno ha visto per la prima volta il mare. Ha scoperto che la spiaggia è piena di bimbi, li rincorreva tutti, quei pochi che è riuscita a raggiungere li abbracciava e baciava, era felice, girava su se stessa e cercava di trasmettere loro tutte le emozioni che sentiva emergere da dentro. I bambini rimanevamo attoniti almeno quanto i genitori. Ogni volta che provavo a spiegare a Monica che era ora di andare e di salutare il bambino/a di turno lei si disperava e piangeva molto più di quando per una caduta si è procurata un trauma cranico. In quella occasione ha smesso dopo pochi minuti, infatti non l'ho neanche portata subito in ospedale.

Certe emozioni rimangono tali ad ogni età, e non sempre è facile gestirle.

Ciao
Salvatore V.